La Spezia -
Aria di crisi sulla cantieristica spezzina: ieri al Muggiano i lavoratori dei diversi turni hanno incrociato le braccia, mentre nella mattinata si è svolto un presidio e un'assemblea. I motivi dell'agitazione, ci ha spiegato Stefano Bettalli della Fiom, sono da ricercare nel mancato rispetto degli accordi stipulati tra sindacato e Fincantieri. Tali accordi prevedevano che le diverse commesse, civili e militari, fossero distribuite tra i due cantieri di Riva Trigoso e della Spezia. Ora, secondo il sindacato, la direzione aziendale intende concentrare
la produzione del settore sommergibilistico a Riva Trigoso lasciando alla Spezia solo la nautica civile, i grandi yacht di oltre settanta metri di lunghezza. I timori sindacali sono facilmente intuibili: dato che nel mondo ci sono pochi con barche di settanta metri e ci sono invece molte guerre, in corso o potenziali, il
settore che offre maggiori garanzie per l'occupazione è quello militare.
Il destino militare della Spezia è al centro in questi ultimi giorni di una polemica a distanza tra il deputato Olivieri di Rifondazione comunista, che ha auspicato una riconversione delle industrie armiere spezzine e la RSU dell'OTO Melara che in un comunicato valuta "irrealistica" l'ipotesi di una riconversione. La Spezia, sostiene Bettalli inserendosi nella discussione, è una monocultura militare, e non solo per le radici storiche della città; ancor oggi su 7000 metalmeccanici oltre la metà sono impiegati, direttamente o indirettamente, nella produzione di armamenti. Anche il settore armiero però non è esente da crisi, soprattutto quando vengono meno le grosse commesse di stati esteri; commesse spesso legate ai rapporti di forza internazionali.
Ne sanno qualcosa i lavoratori della MBDA; un'azienda specializzata nella produzione di missili che, avendo perso una commessa con il Pakistan (sembra per manovre americane), si trova ora con il 15% delle maestranze in esubero. Il primo febbraio un incontro tra sindacati e vertici aziendali dovrebbe scongiurare licenziamenti nello stabilimento spezzino, ma di certo questa vicenda mette in luce i punti deboli delle produsione destinate al militare, anche sul fronte dell'occupazione. Forse allora ripensare lo sviluppo produttivo della Spezia , prevedendo un riconversione civile, non è più un'utopia da anime belle ma una scelta che dovrebbe quanto meno entrare seriamente nell'agenda politica sul futuro della città.
Fabio Nardini
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