Sono in forma anonima e riguardano solo l’anno 2005, ma finalmente sono arrivati: dopo 230 giorni dalla richiesta, Legambiente Carrara è riuscita finalmente a “strappare”- è il caso di dirlo – all’amministrazione comunale i dati sulle attività estrattive alle cave, alla fine di un lungo tira e molla con il Settore Marmo del Comune di Carrara e con l’intervento determinante del difensore civico.
La consegna a dir poco tardiva del materiale richiesto, il fatto che il comune non abbia voluto specificare i nominativi delle cave (nonostante nulla osti dal punto di vista legale alla loro divulgazione), la consegna di dati relativi a un solo anno (il 2005 appunto) e di un dettaglio che tiene conto solo della divisione in blocchi e detriti (senza precisare, come invece aveva chiesto l’associazione ambientalista, la quantità di scaglie, informi e terre) sono tutti elementi che secondo Legambiente Carrara dimostrerebbero la volontà dell’amministrazione di “coprire” quanto accade sulle Apuane, allo scopo di tutelare gli interessi degli imprenditori.
Sono ben 31 infatti le cave che estraggono una quantità di detriti superiore alla 90 per cento della produzione totale e che quindi, secondo il regolamento degli agri marmiferi del comune stesso, sarebbero “fuori legge”: secondo l’articolo 1 di questa normativa, infatti, l’escavazione dovrebbe essere finalizzata quasi esclusivamente alla produzione di lapidei ornamentali – come dire blocchi – e non alla realizzazione di scaglie per l’industria del carbonato di calcio. Stando ai dati forniti dalla stessa amministrazione – cui spetterebbe il compito di monitorare l’attività sul monte e di far applicare il regolamento - nel bacino carrarese sta accadendo invece l’esatto contrario: basti pensare che nel corso del 2005, ci sono state almeno 8 cave che non hanno “sfornato” alcun blocco ma che hanno prodotto solo ed esclusivamente detriti.
Dall’analisi di queste cifre riparte quindi la denuncia di Legambiente Carrara che non a caso parla di “rapina del marmo”: dopo essere riuscita con grande fatica a strappare un punto a suo favore in questa ingiustificata battaglia per la divulgazione dei dati sulle attività estrattive, l’associazione ambientalista è tornata immediatamente all’attacco e già questa mattina ha consegnato agli uffici del Settore Marmo una nuova richiesta, per avere il dettaglio dei nomi delle singole cave (che permetterebbe di individuare gli imprenditori fuori legge) e le cifre relative all’anno 2006.
Ma l’attacco sferrato da Legambiente sul fronte della gestione del settore lapideo non si è ferma qui: a margine della presentazione dei dati sull’estrazione, l’associazione ha illustrato anche uno studio in merito all’inquinamento da Co2 (anidride carbonica) che deriva dal traffico pesante da e per le cave. Secondo questa ricerca per “compensare” le emissioni nocive prodotte dai camion nell’arco di un anno sarebbe necessaria una superficie boschiva di 672 km quadrati: per avere un termine di paragone, basti pensare che il Parco delle Apuane copre una superficie di 250 km quadrati, quindi, nemmeno se quest’area fosse interamente coperta da alberi essi riuscirebbero ad “annullare” l’effetto dell’inquinamento. Il quadro generale, dicono da Legambiente, è però in realtà ancora più cupo: lo studio, spiegano dall’associazione, prende in considerazione l’anidride carbonica prodotta da veicoli Euro 4 – vale a dire modelli relativamente nuovi – mentre, come tutti sanno, in città circolano ancora molti mezzi decisamente più vecchi e quindi più nocivi.
In allegato i due documenti presentati questa mattina da Legambiente: “Cave, escavazioni 2005: i primi dati sulla rapina del marmo” e “Camion marmo, impronta ecologica CO2”